Corte d’appello di Venezia sentenza n. 2257/2019 del 03.06.2019 Divorzio – assegno divorzile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dai Signori Magistrati

Dott. Marco Campagnolo  Presidente

Dott. Massimo Coltro Consigliere

Dott. Gianluca Bordon Consigliere est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa promossa in appello iscritta al n. 0000 del Ruolo Generale dell'anno 2019 promossa da

XXX, difesa dall'avvocato domiciliatario AAA del foro di Treviso, con studio in via ....

APPELLANTE

contro

YYY , difeso dagli avvocati domiciliatari ANDREA BERTONI e LUCIA FANTATO con studio in via Nikolajewka, n. 1 /3 Pederobba

APPELLATA

con l'intervento in causa del

PUBBLICO MINISTERO

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso 1 marzo 2019 n. 484

.... OMISSIS ....

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Treviso, dichiarato lo scioglimento del matrimonio, ha rigettato la domanda di versamento a  XXX di un assegno divorzile

Dopo aver ricordato la necessità di bilanciare il principio di solidarietà con il principio di autoresponsabilità, il Tribunale si è interrogato sulle ragioni dello squilibrio economico esistente fra i coniugi: YYY gode di una retribuzione mensile di circa euro 3.100 mentre la XXX dispone, come unica entrata, del contributo al mantenimento. Non vi è stato alcun apprezzabile sacrificio della moglie durante la vita coniugale che abbia contribuito alla formazione del patrimonio del marito. La XXX non si è impegnata, nemmeno dopo la separazione, nella ricerca di un' occupazione. Il primo Giudice ha osservato:

1.1. che il matrimonio è durato circa dieci anni sino alla sentenza parziale di separazione (dicembre 2007- settembre 2017) e dallo stesso non sono nati figli;

1.2. che, a fronte di opposte allegazioni, non è provato che sia stata condivisa la decisione della moglie di dimettersi dalle attività lavorative svolte durante la convivenza coniugale;

1.3 che la giovane età (35 anni), il titolo di studio (laurea in commercio estero) e la conoscenza di più lingue (spagnolo e italiano) avrebbe dovuto facilitare l'inserimento della XXX nel mondo del lavoro;

1.4 che, risalendo il trasferimento in Italia al 2014, appare poco verosimile che la XXX sia stata scartata nei colloqui di lavoro perchè non parla bene la lingua italiana. I curricula depositati - a parte uno del 2014 - risalgono tutti al 2018, a un periodo successivo al deposito del ricorso per divorzio:

1.5 che la XXX ha assunto volontariamente i rischi derivanti dal trasferimento in Italia, paese nel quale, a suo dire, non aveva legami.

2. Con l'atto di appello XXX insiste per il riconoscimento dell'assegno divorzile sostenendo che la sentenza "rappresenta ictu oculi un disorientamento dell'interpretazione costituzionalizzata del rapporto di coniugio e di pari dignità dei coniugi che pericolosamente arresta l'evoluzione del criterio composito nel quale il principio di autoresponsabilità deve essere rapportato alla tutela della buona fede dell'affidamento e della buona fede".

La difesa dell'appellante lamenta:

2.1 l'errata ricostruzione dei fatti perchè XXX ha rinunciato alla famiglia di origine, alle amicizie, alla città natale e alla carriera in ragione del matrimonio. La sentenza è illogica perchè la moglie non avrebbe potuto mantenere la propria occupazione a migliaia di chilometri di distanza dal marito. La XXX ha seguito per anni il coniuge in diversi cantieri; si è dedicata esclusivamente e prevalentemente alla famiglia. la sua laurea non è riconosciuta in Italia e non è proprietaria di veicoli. Sono stati depositati curricula di gran lunga anteriori al ricorso e vi è prova della prescrizione di medicinali  antidepressivi;

2.2. che il Giudice richiama il criterio compensativo ma non lo applica perchè la donna si è sacrificata per anni nel seguire il marito in molte località, tanto da rinunciare alla carriera. Nonostante avesse consapevolmente investito in un progetto familiare e assunto una "posizione sacrificale", alla XXX non è stato riconosciuto alcun assegno.

3. YYY ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità dell'appello perchè il ricorso introduttivo non contiene il nome di battesimo dell'appellato, il C.F. e il domicilio, rendendo irrimediabilmente carente l'indicazione di una delle parti. Durante il matrimonio marito e moglie erano soliti rimanere separati per gran parte della settimana. Non era stato YYY ha chiedere alla moglie di trasferirsi a ZZZ. Solo nei fine settimana comunque s'incontravano perchè la moglie viveva in città e non nei cantieri dove il resistente alloggiava. Dimessasi dal lavoro svolto prima del matrimonio, la XXX ne aveva trovato un altro con l'aiuto del coniuge ma lo aveva lasciato di sua iniziativa. Nel 2014 aveva deciso autonomamente di trasferirsi in Italia mentre il marito era rimasto a lavorare all'estero.

4. L'eccezione preliminare della difesa di YYY è manifestamente infondata perchè non vi può essere alcun dubbio sulla corretta individuazione della parte appellata.

5. Secondo il noto precedente di legittimità (Cass. S.U. , 11.07.18, n. 18287) a lungo richiamato nella sentenza impugnata ai fini della determinazione dell'assegno, occorre considerare un criterio cd. "composito" che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico- patrimoniali, attribuisca particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. La recente decisione conferma che l'assegno post matrimoniale non deve elidere il divario di reddito e di patrimonio fra gli ex coniugi e che  oramai - superato un orientamento che ha costituito a lungo il diritto vivente (Cass. S.U., 29.11.90, n. 11490) - il tenore di vita coniugale non rappresenta più il parametro in funzione del quale valutare l'adeguatezza dei mezzi del richiedente. Le Sezioni Unite hanno però escluso che il principio dell'autosufficienza economica possa frustrare la tutela di un ex coniuge a lungo dedito alla cura della famiglia. Rimane ferma l'esigenza di attuare il principio della parità tra i coniugi e della parità di ruoli all'interno della famiglia. Se vanno evitate rendite parassitaria, non si può nemmeno prescindere dalla storia personale dei coniugi e tanto meno stabilire il presupposto dell'assegno in termini oggettivi, invariabili e generali. Deve riconosecrsi valore al contributo dell'ex coniuge economicamente più debole al menage familiare.

6. Nel negare l'assegno divorzile, il Giudice di primo grado non disapplica - come sostenuto dalla difesa dell'appellante - criterio compensativo. L'appellante non ricorda che XXX ha 35 anni e che non è provato che la sua scelta di non lavorare nel corso della vita coniugale sia dipesa da esigenze familiari o comunque da decisioni concordate con il marito.

6.1 Non sussiste, innanzitutto, alcuna omissione nella valutazione delle prove documentali. L'appellante non precisa quale documentazione medica dimostrerebbe una condizione di salute in grado di pregiudicare parzialmente la capacità lavorativa o anche solo di confermare uno stato depressivo di XXX e si limita a sostenere che agli atti vi siano curricula "di gran lunga" anteriori al ricorso di divorzio. Non precisa quali siano questi curricula e rinvia al cd. doc. 4, che contiene più documenti. Sottolineate la genericità dell'allegazione e l'irritualità della produzione telematica, oltre a quanto riferito dal Tribunale è rinvenibile unicamente una "conferma d'invio" di una candidatura con data 15 settembre 2015. resta confermato che nulla avrebbe impedito alla XXX di cercare un lavoro ben prima dell'inizio divorzile e che ella non si sia sostanzialmente attivata per cercare un'occupazione sino a dopo l'inizio del presente processo.

6.2 Anche ammesso che la XXX dopo il matrimonio abbia lasciato la prima occupazione lavorativa per vivere in un luogo vicino al marito, non è stato dimostrato che tale scelta abbia pregiudicato irreversibilmente il successivo percorso lavorativo e le possibilità di carriera. Non vi sono allegazioni circostanziate sui continui spostamenti necessari alle esigenze lavorative del YYY. La scelta di XXX di non lavorare durante la vita coniugale non è dipesa dalla cura dei figli o dalla necessità di seguire il marito negli spostamenti lavorativi ed è contestato - e non provato - che sia stata una scelta condivisa. Nulla riferisce l'appellante sui motivi che l'avrebbero indotta ad abbandonare il lavoro di segretaria nella stessa impresa datrice di lavoro del coniuge. Nulla riferisce sulla diversità di tale impiego rispetto al precedente, sulla carriera sacrificata e sui motivi per cui in epoca successiva non abbia ceracto una diversa occupazione lavorativa.

6.3 Non è allegato e tanto meno provato che la decisione della XXX di trasferirsi in Italia nel 2014 sia dipesa da ragioni lavorative del YYY o comunque da motivi familiari. L'ex coniuge ha sempre continuato a lavorare all'estero. L'attuale stato di disoccupazione della XXX non costituisce una ragione sufficiente per garantirle un assegno divorzile. Giovane età, titolo di studio e padronanza di più lingue avrebbero dovuto rendere agevole il suo inserimento nel modo del lavoro in un tempo ragionevole. Sino al divorzio la XXX non si è impegnata - rectius non ha provato di essersi impegnata - nella ricerca di un lavoro. la solidarietà post matrimoniale non legittima una rendita di posizione in favore di una giovane donna che - avendone capacità e possibilità - avrebbe potuto lavorare durante il matrimonio, ha rinunciato a un'occupazione per libera scelta e, anche dopo l'inizio della crisi coniugale e la separazione, non si è adeguatamente attivata per acquisire un'autonomia economica.

L'appello deve essere pertanto rigettato. le spese processuali , liquidate sulla base del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 nella somma di euro 4.963,00, seguono la soccombenza- Si applicanoi parametri previsti per i procedimenti d'appello per le cause di bassa difficoltà di valore indeterminabile. Si è fatto riferimento a parametri medi per le rpime due fasi e più contenuti per quella decisionale, posto che la discussione è stata unicamente orale (euro 1.960,00 + euro 1.350,00 + euro 1.653,00). E' applicabile il raddoppio del contributo unificato previsto per il caso di appello interamente respinto ai sensi dell'art. 13 co. I quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte d'Appello di Venezia, terza sezione civile, ogni contraria istanza ed eccezione, disattesa, definitivamente decidendo sull'appello proposto da XXX nei confronti di YYY, così provvede:

a) rigetta l'appello e conferma la sentenza del Tribunale di Treviso 1 marzo 2019, n. 484;

b) condanna XXX alla rifusione delle spese processuali in favore di YYY liquidate nella somma di euro 4.963,00 per compensi, oltre spese generali (15%), iva e cpa;

c) dichiara che XXX è obbligata a versare un ulteriroe importo da titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello ai sensi dell'art. 13, I quatter co. D.P.R. 30.05.02, n. 115

Venezia, 20 maggio 2019

Il Consigliere estensore                                         Il Presidente 

 

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