MATRIMONIO – DIVORZIO – DIVARIO TRA LA SITUAZIONE ECONOMICA E PATRIMONIALE DEI CONIUGI – ASSEGNO DI MANTENIMENTO – LE RAGIONI DI UN NO.

MASSIMA
Il Giudice, per stabilire se attribuire o meno l’assegno, deve comunque verificare in primo luogo se sussista un divario rilevante nella situazione economica delle parti, eventualmente esercitando in questa fase i poteri ufficiosi richiamati nella sentenza.
Se tale divario non emerge, non potrà essere riconosciuto alcun diritto al percepimento di un contributo economico da parte del richiedente.
Nel caso contrario, però, non per ciò solo vi sarà diritto ad un assegno divorzile; in presenza di un divario rilevante nella situazione economica delle parti, infatti, si deve innanzitutto comprendere quale sia la causa del divario stesso.
Infatti solo qualora lo squilibrio sia conseguenza anche dei sacrifici effettuati dal richiedente, il diritto alla corresponsione dell’assegno vi sarà.
Viceversa quando nessuno dei coniugi si sia sacrificato a tal fine (solo a titoli di esempio, nel caso in cui il matrimonio abbia avuto durata molto breve, non siano nati figli e non vi sono state rinunce delle parti allo sviluppo della propria professionalità per favorire la crescita della famiglia), non vi sarà spazio per il riconoscimento di un assegno divorzile.
In conclusione, dall’attenzione centrale fornita dalla Suprema Corte nel-la fase di determinazione dell’assegno al parametro perequativo-compensativo, deve necessariamente ritenersi che vi sarà un diritto all’assegno e che, sotto il profilo del quantum, sarà riconosciuto in misura proporzionalmente sempre maggiore, nel caso di esistenza di un rilevante divario economico –patrimoniale fra i coniugi formatosi anche come conseguenza della circostanza che uno di essi si è sacrificato per la famiglia e per consentire al compagno di sviluppare il patrimonio familiare.
L’assegno, viceversa, non vi sarà, a prescindere dal divario reddituale e patrimoniale fra i coniugi, qualora non vi sia stato alcun sacrificio di uno di essi per la formazione del patrimonio comune nel periodo dell’unione matrimoniale. Se, infatti, deve essere attribuita rilevanza centrale alla funzione compensativa, la quale mira a compensare i sacrifici fatti dai coniugi nel matrimonio, allora non vi può essere spazio per l’attribuzione dell’assegno quando i sacrifici non siano stati effettuati.
Avendo però l’assegno natura composita, è proprio in tale circostanza che deve essere recuperata la funzione assistenziale dell’istituto, ricono-scendo al coniuge un assegno divorzile nel solo caso in cui non abbia mezzi adeguati per vivere e non sia in grado di procurarseli (per ragioni di età, salute, situazioni personali e sociali); tuttavia, sotto il profilo del quantum, in tale eventualità l’assegno dovrà essere ricondotto ad un importo sostanzialmente “alimentare”, ossia tale da garantire le esigenze minime di vita della persona.

Tribunale di Treviso 01.03.2019 n. 484 - Estensore dott. Barbazza - Pre-sidente dott.ssa  Ronzani

Commento dell’avv. Andrea Bertoni
La recente decisione del Tribunale di Treviso si pone nel solco dell’orientamento più recente delle Sezioni Unite (dell’11.07.2018, n. 18287) e, nel confronto con il caso concreto, mira a tradurne l’indirizzo in opzioni direttamente fruibili dall’interprete.
E’ opportuno prendere le mosse dal testo della norma che prevede l’assegno di divorzio ovvero i commi 6 e seguenti dell’art. 5 della legge 898/1970 così come modificato dalla legge 74/1987 e nella forma vigente a partire dal 12.03.1987:
6. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economi-co dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patri-monio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
7. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il Tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.
8. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale. In tal caso non può es-sere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
9. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e co-mune. In caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.
E’ possibile enucleare nel testo dell’art. 5 comma 6 della l. 898/70 alcuni criteri che dovrebbero guidare il Giudice nel valutare il se e la misura dell’assegno di divorzio:
a) le condizioni economiche dei coniugi, l’esistenza o l’inesistenza per ciascuno dei coniugi di mezzi adeguati, la possibilità o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, elementi che sinteticamente sono stati tradotti in un profilo assistenziale,
b) il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla condu-zione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, indicatori tradotti in un profilo compensativo,
c) le ragioni della decisione, che sono sovente tradotte in un profilo ri-sarcitorio.
Storicamente nella Giurisprudenza della Corte di Cassazione, il criterio dell’insussistenza dei mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive a partire dal 1987, anno in cui la norma acquisì la sua formulazione attuale, venne inteso come preminente rispetto agli altri, in quanto condizione per l’attribuzione del diritto all’assegno, nel mentre i profili risarcitori e compensativi risultavano operanti soltanto in modo residuale e con efficacia determinativa, non attributiva.
A ciò gli interpreti parevano orientati da una serie di elementi:

1. il rilievo dato dal Legislatore del 1987 all’indagine comparativa sui redditi,
2. la novità rappresentata dai poteri istruttori officiosi attribuiti per la ricostruzione delle condizioni economiche-patrimoniali dei coniugi,
3. l’accorpamento nella parte iniziale del testo di alcuni degli indicatori: condizioni e reddito dei coniugi, contributo individuale alla formazione del patrimonio di ciascuno e comune, ragioni della decisione e viceversa l’isolamento del criterio assistenziale nella parte finale del comma.

A partire dalla storica sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990 e per quasi un trentennio la condizione della insussistenza di mezzi adeguati e della impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive venne intesa non come una situazione di indefettibile bisogno, ma piuttosto come insufficienza dei propri mezzi al fine di conservare un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio.

Gli altri criteri, compensativi, risarcitori contenuti nella restante parte del comma 6 citato parevano conservare una efficacia meramente determinativa.
Non mancarono negli anni successivi al 1990 tentativi di temperamento del criterio del tenore di vita (goduto o fruibile) in costanza di matrimonio, ai fini della decisione sull’attribuzione dell’assegno e non solo di quella sulla misura di esso. Criteri che facessero leva su altri indicatori contemplati nel testo di legge quali la durata del rapporto coniugale (Cass. 7295/2013 , 6164/2015) o la creazione di una nuova famiglia di fatto (Cass. 6455 /2015 – 2466/2016), ma per lunghissimo tempo nella Giurisprudenza maggioritaria della Corte Suprema si affermò la preminenza della comparazione delle condizioni economico – patrimoniali dei coniugi quale elemento da considerare nel decidere sull’an dell’assegno.
Tuttavia il suddetto orientamento portava con sé rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente quando questi potesse godere di agiatezza e/o quando non avesse contribuito significativamente alla posizione economico patrimoniale dell’altro ex coniuge, o comune.
L’apporto dato alla conduzione e allo svolgimento della relazione e della famiglia venne marginalizzato e il relativo criterio svalutato.
Si venne quindi a trascurare e anche il valore della auto-responsabilità come pure i valori della pari dignità (art. 3 Cost.) e quello dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi (art. 29 Cost.).
Lo squilibrio economico patrimoniale che fosse fotografato al momento dello scioglimento dell’unione avrebbe potuto essere il frutto esclusivo o prevalente di scelte adottate dai coniugi, ma avrebbe anche potuto non esserlo.
Avrebbe potuto trattarsi di scelte individuali o di scelte condivise; scelte fatte nell’interesse esclusivo proprio del coniuge, oppure decisioni prese nell’interesse della famiglia.
L’applicazione del profilo assistenziale quale unico criterio per guidare il Giudice nella decisione sull’attribuzione dell’assegno peccava di astrattezza, di scarsa aderenza ai multiformi casi concreti come aveva rilevato tra altri la Corte d’Appello di Genova (12/10/2017, n. 106).
In questo quadro di diffusa critica alla supina applicazione del criterio del tenore di vita s’inserisce l’arresto rappresentato dalla sentenza Cass. n. 11504 del 2017, a breve seguita da Cass. 15481 del 2017.
La pronunce da ultimo citate evidenziano l’inattualità del precedente o-rientamento (tenore di vita in costanza di matrimonio) e l’obsolescenza di esso rispetto ad un contesto socio-economico in cui è aumentata la valoriz-zazione delle scelte personali e delle loro conseguenze sotto il profilo dell’auto-responsabilità.
L’opzione scelta è quella di ridimensionare il criterio dell’adeguatezza dei mezzi, la cui asticella si abbassa fino a sfiorare lo stato di bisogno. Viene tuttavia riaffermata la dicotomia tra criterio attributivo (assistenziale) e gli altri criteri che vengono ritenuti aver natura meramente determinativa.
In verità il segnalato rischio di trascurare i suddetti altri indicatori (compensativo e risarcitorio), o di attribuire ad essi un ruolo marginale non scompare nell’orientamento espresso con Cass. 11504 del 2017, ma anzi aumenta.
L’arresto è quindi sicuramente rilevante, per quanto esso fa leva sui principi di auto-determinazione e auto-responsabilità e nella misura in cui coglie la potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, ma risulta anche incompleto perché omette di considerare le scelte, anche irreversibili, che hanno determinato il modello di relazione coniugale al quale gli ex coniugi si sono ispirati e il ruolo da costoro assunto anche nel corso della vita familiare. Fattori che possono condizionare enormemente la situazione economico patrimoniale degli ex coniugi al momento dello scioglimento del vincolo e futura.
Di qui la revisione critica che si rinviene nella pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 dell’11.07.2018.
La soluzione sembra essere quella di abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi.
L’art. 5 comma 6 deve essere interpretato in modo più coerente con il quadro costituzionale di riferimento (art. 2 – 3- 29 Cost.) tenendo presente la sentenza C.Cost. n. 11 del 2015 sul problema della legittimità costituzionale del criterio del tenore di vita.
La Corte osserva che, nella prevalenza delle situazioni concrete, la cessazione della convivenza porta con sé un depauperamento di entrambi gli ex coniugi, con la conseguenza che il tenore di vita dopo la separazione non è quasi mai paragonabile, per entrambi i coniugi, a quello in costanza di matrimonio. Nella maggior parte dei casi si crea uno squilibrio economico- patrimoniale che è conseguente alla determinazione di sciogliere il vincolo.
Piuttosto che fermarsi alla mera registrazione del fenomeno occorre considerare che i ruoli scelti da ciascuno, o insieme, nel corso della relazione sono frequentemente un fattore decisivo nella definizione dei profili economico – patrimoniali successivi allo scioglimento.
Il Legislatore impone al Giudice di tenere conto di una serie di indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e auto responsabilità, luogo in cui vi deve essere pari dignità dei ruoli, comunione di affetti ed effettiva comunione di vita.
Il criterio compensativo e quello risarcitorio non possono rimanere sol-tanto fattori di moderazione o di ampliamento dell’obbligo. Piuttosto se ne deve tener conto nella decisione sull’attribuire o meno l’assegno, al pari del criterio assistenziale.
E al pari di altri fattori, quali la durata della relazione, la salute, l’età, la capacità professionale e quella di produrre reddito.
Gli altri indicatori e criteri rischiano di essere offuscati dalla preminenza assoluta della comparazione meramente quantitativa tra le condizioni economico patrimoniali degli ex coniugi al momento dello scioglimento.
Secondo il citato recente arresto delle Sezioni Unite: “L’inadeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vin-colo, produrrebbe effetti vantaggiosi per una sola parte. “.
Più oltre gli Ermellini rilevano: “La funzione riequilibratrice dell’assegno… non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endo-coniugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situa-zione comparativa attuale.”.
Ditalchè in sintesi: “Ai sensi della L. 898 del 1970 , art. 5 comma 6, do-po le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve riconoscersi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economiche - patrimoniali delle parti, alla luce del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.”.
Orientamento questo a dire il vero anticipato in alcune pronunce del Tribunale di Treviso del 14.10.2017 e del 09.01.2018 e che rappresenta una sorta di ritorno alle origini rispetto alla Giurisprudenza di Cassazione formatasi prima della modifica legislativa del 1987 (per tutte Cass. SS.UU. n. 1194/1974 e n. 1633/1975).
Anche allora il Giudice, pur esercitando un ampio potere discrezionale, avrebbe dovuto avere presenti tutti i criteri suddetti con il limite di non po-terne ignorare in astratto nemmeno uno, salvo che il rilievo concreto di esso non fosse nel caso concreto marginale o insussistente.
Insomma anche per le Sezioni Unite del 1974 la coesistenza dei criteri comportava equiordinazione e rilievo paritario degli stessi.
L’assegno non poteva avere solo carattere alimentare perché quella tipologia di obbligazioni postulava la permanenza del vincolo e invece, con il divorzio, il vincolo di parentela, si scioglieva.
Il parametro relativo alle condizioni economiche dei coniugi non poteva essere considerato criterio prevalente, ma elemento di valutazione da porsi in relazione agli altri ricordati, con esso concorrenti.
L’indagine non doveva limitarsi alla fotografia della situazione economico-patrimoniale dei coniugi al momento dello scioglimento, ma doveva estendersi alle ragioni di un eventuale squilibrio e alla correlazione tra quello squilibrio e i ruoli assunti nell’ambito familiare.
Anche ora, dopo il rasserenante intervento delle Sezioni Unite, allor-quando il Giudice dispone sull’assegno di divorzio la valorizzazione della storia dell’unione, delle scelte, anche pregresse, dei coniugi non può essere soltanto eventuale e subordinata ad un preponderante criterio assistenziale, incentrato sull’adeguatezza dei mezzi.
Le modificazioni sociali hanno inciso profondamente sulla disciplina giuridica dell’istituto e vi è l’esigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella sentenza S.U. 11490 /1990 soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex coniuge e in relazione al rischio di deresponsabilizzazione conseguente all’adozione di un criterio fondato quasi esclusivamente sulla comparazione delle condizioni economiche patrimoniali cristallizzate al termine del rapporto.
Se il Giudice terrà presente tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5 comma 6 della l. 898/70 in posizione equiordinata e senza alcuna preminenza o prevalenza dell’uno sull’altro sarà possibile escludere sia il rischio di un ingiustificato arricchimento derivante da un atteggiamento deresponsabilizzato, sia assicurare tutela, in chiave perequativa, in quelle situazioni in cui il dislivello economico patrimoniale che si registra alla fine del matrimonio sia diretta conseguenza di responsabili e condivise determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare.
Nelle intenzioni della Suprema Corte l’interpretazione da ultima offerta è in grado di avvicinare il modello italiano ai modelli proposti dalla legislazione di altri paesi europei e s’inserisce nell’affermazione universale e non solo costituzionale, di parità tra i coniugi, uguaglianza di diritti e di responsabilità sia durante il matrimonio sia in caso di sciogli-mento.
Nel caso preso in esame dal Tribunale di Treviso la parte che richiedeva il contributo al mantenimento era giovane, laureata, dotata di conoscenza approfondita di più lingue. Per età, salute, competenze professionali luogo di residenza, situazione locale del mercato del lavoro disponeva della possibilità di procurarsi in via autonoma mezzi adeguati, non aveva dato prova di una particolare e specifica incapacità.
L’altra parte aveva scolarità inferiore, e minori competenze. Per buona sorte, o per impegno personale si era però conquistato una posizione pro-fessionale con un reddito più che dignitoso, sia pure a prezzo di notevoli sacrifici personali ed esistenziali.
Non vi erano elementi per sostenere un particolare contributo personale ed economico dato dalla parte richiedente l’assegno alla conduzione fami-liare, alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune o al reddito di entrambi.
Non v’erano elementi nemmeno per sostenere che la parte richiedente l’assegno avesse sostenuto sacrifici in termini personali, o professionali in vista del consolidamento dell’unione. Il matrimonio era durato dieci anni, ma entrambe le parti si trovavano in età da potersi ricostruire una famiglia.
Avuti presenti tutti gli elementi di cui sopra e non solo l’astratta compa-razione dei redditi dei due coniugi è stato naturale concludere che nessuna norma giuridica attribuisce al coniuge che si sot¬trae allo svolgimento di una attività lavorativa il diritto di vivere a spese dell’altro. La so¬lidarietà familiare è un valore sacrosanto, ma il vincolo familiare cessa con la sentenza di divorzio e, se non ricorre alcuna necessità di compensare o perequare scelte penalizzanti fatte dall’uno o dall’altro dei coniugi nell’interesse della famiglia, non v’è motivo di creare squilibri. Soprattutto quando non vi sono ragioni oggettive d’incapacità o impossibilità di procurarsi un reddito da lavoro.
Va considerato piuttosto il valore della auto-respon¬sabilità dal momento che gli art. 3 e 29 della Costituzione sanciscono la pari dignità dei coniugi e la loro eguaglianza morale e giuridica.
I recenti arresti della Corte di Cassazione che sono stati ricordati, al pari di quelli, anticipatori, della Giurisprudenza di Merito evidenziano la necessità di non considerare il matrimonio come un vincolo ultra-attivo rispetto allo scioglimento in sede giudiziale.
Il divorzio comporta l’estinzione del rapporto matrimoniale sul piano non solo personale, ma anche economico patrimoniale e non c’è ragione di riconoscere rendite parassitarie che soltanto sarebbero destinate a premiare l’irresponsabilità e a spegnere ogni spinta all’autonomia.
In generale, se non vi sono motivi per compensare alcunché, non sarebbe coerente, dal punto di vista sistematico, a parità di condizioni, riconoscere il diritto all’assegno divorzile all’ex coniuge, con il quale si è sciolto il vincolo e non riconoscere il diritto ad un contributo al mantenimento nei confronti del figlio magari trentenne, con il quale un legame, anche più forte e naturale, permane, ma che si sottrae volontariamente alla ricerca di un’autonoma fonte di reddito.

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